L’omicidio di George Floyd è uno degli ultimi assassinii compiuti dalle polizie[1] statunitensi nei confronti di coloro che appartengono ai gruppi socio-culturali razzializzati.
Già pochi anni fa, a Ferguson, un fatto simile aveva scatenato giorni di rivolta, portando alla nascita del movimento Black Live Matters. L’omicidio delle persone appartenenti ai gruppi razzializzati da parte delle polizie statunitensi è una costante che risale ancor prima della nascita degli Stati Uniti; ha le sue radici nell’economia schiavista – che si approvvigionava di schiavi dall’Africa Occidentale per alimentare il sistema delle piantagioni – e nell’espansione delle colonie ai danni delle popolazioni native – che non avevano i diritti garantiti da coloro che avevano il mandato di costruire in terra la nuova Gerusalemme. Sono dinamiche che hanno origine nel controllo e nell’espansione economica e territoriale del Nord-America da parte delle élites britanniche, olandesi e francesi.
Con l’indipendenza degli Stati Uniti dalla Corona Britannica, il sistema schiavistico si è mantenuto fino alla Guerra Civile nonostante la vittoria dell’Unione e l’abolizione della schiavitù. Non è negli scopi di questo articolo ripercorrere le vicende che portarono alla guerra e alla sconfitta della Confederazione; per chi volesse approfondire, si rimanda ai fondamentali libri di Raimondo Luraghi.[2] Si tenga conto che la classe dominante unionista non era estranea al traffico di schiavi e all’economia schiavista in toto. L’Unione forniva un fondamentale supporto finanziario e assicurativo tramite le banche del New England e nelle ragioni del conflitto si incrociavano molti motivi – come quello fondamentale sulla natura politica unionista tra Stati e quello dell’indirizzo economico da dare agli USA.
In ogni caso, le speranze di emancipazione per la popolazione afroamericana – quali l’acro di terra e il mulo per famiglia promesso da Lincoln – si sciolsero come neve al sole durante il periodo della ricostruzione post-bellica. Nel giro di pochi anni entrarono in vigore le leggi sulla segregazione razziale. Gli schiavi emancipati dovettero tornare a lavorare come braccianti dai loro ex padroni.
La forza dell’industrializzazione, nel corso dei decenni successivi, attirò nei grandi centri del Nord e del Midwest grandi masse di ex schiavi e di figli di ex schiavi, integrandoli nell’economia industriale ma tenendoli sempre su un piano di inferiorità rispetto agli operai bianchi. Gli immigrati europei, intanto, venivano integrati con processi contraddittori, lunghi e caratterizzati da giravolte tipiche della “whiteness”, accedendo al gradino più alto della gerarchia razziale statunitense.[3] Saltando avanti di qualche decennio, il patto sociale socialdemocratico figlio del New Deal lasciò, ancora una volta, gli afroamericani esclusi dalla ridistribuzione mediata dello stato di parte del plusvalore. Nel Sud continuava il sistema segregazionista fino a quando sarebbe stato messo in crisi e abolito solo dall’imponente ondata di mobilitazioni e azioni dirette tra gli anni ’50 e gli anni ’70. Nel Nord e sulle coste, gli afroamericani erano costretti a vivere nei grandi ghetti urbani ciclicamente scossi da rivolte spesso scatenate dagli abusi della polizia.
La storia degli Stati Uniti è una storia di internazionalità tra l’oppressione di classe, l’oppressione di razza e l’oppressione di genere. La razzializzazione di certi gruppi sociali, fossero essi composti da afroamericani, nativi o, successivamente, latinos, è stato un potente strumento della classe dominante statunitense nel dividere in profondità gli sfruttati.
Chi valicava i confini di razza in nome dell’unità di classe è stato sempre colpito con durezza da parte delle pubbliche autorità a qualsiasi livello – veri garanti della gerarchia razziale e del dominio di classe. Il grande incubo della classe dominante statunitense è l’abbattimento dei confini di razza da parte degli sfruttati.
L’omicidio di Floyd è stata la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo fino all’orlo. Oltre alla strutturale e plurisecolare violenza poliziesca, la risposta dei vari livelli di governo alla pandemia di Sars-Covid-19 è stata assolutamente e deliberatamente criminale. Per non bloccare un’economia che, negli ultimi anni, si sta riprendendo dalla crisi del 2008, molti stati hanno deciso di non intraprendere azioni che portassero al blocco della produzione. Allo stesso tempo il sistema sanitario statunitense, completamente in mano a privati e al sistema assicurativo, non è stato in grado di reggere l’ondata di ospedalizzazioni richieste da una malattia come il Sars-Covid-19.
Negli Stati Uniti ci sono al momento centodiecimila morti di Sars-Covid-19. Gli afroamericani muoiono tre volte di più rispetto ad altri[4] in quanto lavorano in servizi essenziali e, di conseguenza, sono più esposti al contagio. Non solo: gli afroamericani sono tendenzialmente più poveri, con coperture sanitarie pessime e malattie pregresse come il diabete. Una situazione simile si trova nelle riserve native.[5] Ancora una volta possiamo vedere come l’intersecarsi tra razza e classe sociale sia un fattore determinante per l’accesso ai servizi di base.
La tanto sbandierata ripresa economica statunitense post crisi del 2008 ha aumentato grandemente la sperequazione e di essa si sono avvantaggiati coloro che erano già ricchi. Chi era povero, fosse esso bianco o meno, è rimasto povero. Il meccanismo di sfruttamento capitalista si è rafforzato e al momento di crescita economica non ha fatto seguito un momento di redistribuzione. In tutto questo, la crisi della classe media bianca ha portato a fenomeni come quello dell’Alt-Right e a nuove ondate di razzismo diffuso tra la popolazione.
In questo contesto, la sollevazione contro la violenza poliziesca assume caratteri di critica generale all’intera organizzazione sociale ed economica. Alla lotta contro gli abusi polizieschi si sono unite la lotta per una sanità universale e gratuita e le lotte contro la gentrificazione dei quartieri popolari e le politiche di incarcerazione di massa che colpiscono in modo sproporzionato la popolazione razzializzata.[6]
Chi in questi giorni è stato in strada negli Stati Uniti sa bene che il problema non è quello delle “mele marce” della polizia ma è l’esistenza stessa della polizia. Non è un caso che a Minneaopolis la rivendicazione della piazza fosse stata quella di sciogliere l’intero corpo di polizia della città. In molte altre città le manifestanti hanno detto a gran voce che bisogna tagliare i fondi alla polizia stessa. Come dicevamo nell’articolo “Genealogia della violenza poliziesca”:[7]
“(…) L’aumento della militarizzazione della società statunitense è da ricercarsi nelle politiche economiche e sociali portate avanti negli ultimi 40 anni. Con Nixon partì la War on Drugs, la politica di inasprimento delle pene per reati legati a detenzione, consumo, produzione e spaccio di stupefacenti. Politica che portò all’aumento esponenziale della popolazione carceraria, senza far diminuire la diffusione di droghe, sopratutto pesanti. Questa politica venne successivamente rafforzata da Reagan, di pari passo con l’imposizione dell’ordine neo-liberista: dalla guerra alla povertà si passa alla guerra ai poveri. Lo smantellamento di tutti i baluardi del welfare state statunitense, fino agli anni ’70 difeso sia da Democratici che da Repubblicani, la distruzione della sanità pubblica a favore di quella privata (e della finanziarizzazione della assicurazioni mediche), la diminuzione dei salari minimi, la completa distruzione delle organizzazioni dei lavoratori, la gestione della città con la creazione di centri urbani iper-blindati, come la down-town losangelina, la ghettizzazione dei poveri, la diminuzione delle case popolari, la suburbanizzazione del ceto medio, hanno portato ad uno sfarinamento del tessuto sociale delle comunità […] Tutto questo è dovuto passare, giocoforza, per la creazione di rapporti di forza in grado di supportare l’ordine neo-liberista. E i rapporti di forza sono anche di natura militare: ecco una delle cause di un corpi di polizia ipertrofici e iper-armati. Altra causa si deve ricercare, a mio parere, nel famoso apparato industriale-militare statunitense. La vera lobby delle armi non è quella di chi supporta il diritto costituzionale di formare milizie popolari armate e detenere e portare armi ma quella che fornisce un quantitativo enorme di tecnologie militari a governo federale e governi statali. E e non parliamo solo di armi leggere ma di armamenti pesanti e della tecnologia logistica necessaria a gestire forze armate[…] Questo complesso militare-industriale prospera grazie alla diffusione di guerre, interne ed esterne, di dispositivi carcerari, di militarizzazione dello spazio urbano (…).”
Le immagini di poliziotti che si inginocchiano per “onorare la memoria di George Floyd” servono a trarre in inganno. Come ha detto un’attivista afroamericana su Twitter “sono come quando il tuo partner violento, dopo averti riempito di schiaffi, ti porta un mazzo di fiori”. In molte occasioni, dopo pochi minuti da queste azioni di propaganda a favore delle telecamere i poliziotti hanno tentato di reprimere le manifestazioni.
In molti casi mal gliene incolse: nonostante l’alto numero di arresti e una decina di morti, il livello di mobilitazione, mentre scriviamo, non sembra calare. Certo, probabilmente caleranno i riot veri e propri nei prossimi giorni ma la mobilitazione resterà alta.
In molte città, intanto, le statue di personaggi storici razzisti – fossero vecchi sindaci o generali della Confederazione – sono state abbattute, spesso, dai manifestanti; in altri casi dalle stesse amministrazioni comunali quando queste si accorgevano improvvisamente di avere nelle piazze principali dei monumenti dedicati a personaggi ignominiosi. E volevano evitare che fossero i manifestanti stessi ad abbatterle.
Davanti ai riot e agli espropri, ovviamente, non sono mancate le reazioni scandalizzate dei vari esponenti della sinistra istituzionale statunitense, quella che si illudeva – e voleva illudere – di vivere in una società post-razziale e di essere l’avanguardia dell’antirazzismo perché aveva portato Obama allo Studio Ovale.
Le insorgenze sociali degli ultimi dieci anni hanno dimostrato come la presa del Democratic Party sui movimenti sociali negli Stati Uniti si stia sempre più sfaldando. La dirigenza del partito non è stata in grado di attuare un recupero delle istanze nate a Ferguson e ha continuato a puntare sul centrismo di Biden o di Clinton piuttosto che aprire timidi spiragli a sinistra. Le componenti di sinistra del Democratic Party, come il DSA, che tanto fa sognare parte della sinistra europea, hanno ribadito la loro lealtà al partito e al futuro candidato alle presidenziali Biden, esponente del peggiore centrismo. Probabilmente, e giustamente, queste componenti della sinistra pagheranno questa scelta perdendo la capacità di organizzare il dissenso degli afroamericani delle metropoli costiere e di recuperare e reintegrare i venti di rivolta dentro percorsi istituzionali.
È un gioco che va avanti da quasi quarant’anni. Ma è un gioco oramai rotto che fa sempre meno presa. Negli ultimi anni tra le comunità razzializzate si è ripreso uno dei punti cardine del movimento per i diritti civili degli anni Sessanta: l’autodifesa e/o saper difendere, anche militarmente, le comunità aggredite dai suprematisti bianchi e dalla polizia. Ovviamente questa è una parte di storia poco raccontata ma è necessaria per capire che cosa sia stato realmente il movimento che ha portato alla distruzione del sistema segregazionista nel Sud degli Stati Uniti.[8] Il numero di afroamericani, che possiedono armi da fuoco per la difesa personale è aumentato con l’emergere dell’Alt-Right[9] (alla faccia di Clinton, aggiungo) e durante la presidenza Trump – emblema della “whiteness”. Fatto ancora più interessante è come la tematica dell’autodifesa sia ritornata a essere centrale anche per molte donne e transgender afroamerican*, due categorie che da sempre subiscono appieno l’oppressione di razza, classe e genere.
Nonostante per descriverla si tiri in ballo – a sproposito – il fascismo, la natura politica di questa amministrazione rimane interna al sistema della gerarchia razziale statunitense. Come ben spiegato dall’articolo che traducemmo e pubblicammo sulle pagine di Umanità Nova, “Trump rappresenta il fascismo o l’identità bianca?” (originariamente comparso su Crimethinc):
“(…) Una risposta di massa alla vittoria di Trump ha bisogno di prendere in considerazione il tema dell’identità bianca. Deve essere chiaro che dopo cinquanta anni dalla supposta vittoria del Movimento per i Diritti Civili la proposta progressista di un’identità bianca sensibile e tollerante non è una soluzione ma solo un modo per posporre il problema.
L’identità bianca deve essere smascherata per quello che è ed estirpata. E questo è qualcosa che nessun partito politico può fare. Quale politico potrebbe vestirsi culturalmente con il mantello di George Washington sapendo che questi era il più grande proprietario di schiavi del suo tempo, l’architetto della campagna genocida verso le Sei Nazioni, che lo nominarono il ‘distruttore di città’?
L’identità bianca è stata creata per distruggere la solidarietà tra gli oppressi e per incoraggiare la lealtà verso i padroni. Nelle lotte di mezzo secolo fa l’identità bianca ha operato sia a destra sia a sinistra. Tra i conservatori significava indossare lenzuola bianche e per i progressisti significava controllare l’agenda politica dei riformisti del Movimento tramite finanziamenti e copertura mediatica selettiva. Con l’ondata dell’insurrezione che si è accesa a Ferguson i costumi sono cambiati ma i ruoli sono gli stessi. L’industria del counseling per bianchi con sensi di colpa è l’armata degli alleati passivi, dei rinforzi dell’identità bianca. Nelle strade di Ferguson e di altre città abbiamo visto come si completi la funzione paramilitare di disarmare le persone di colore e prevenire che i bianchi prendano direttamente parte alle ribellioni dove le divisioni razziali tendono a scomparire. (…)”[10]
Per cercare di comprendere gli Stati Uniti e che cosa stia succedendo in queste settimane, è necessario tenere conto delle questioni che abbiamo velocemente accennato in questo articolo. La questione della razzializzazione di interi gruppi sociali negli Stati Uniti e di come questa si intersechi con le questioni di classe e di genere, ha delle caratteristiche peculiari che la rendono non facilmente comparabile con le situazione europea. Se nei paesi europei la razzializzazione è legata principalmente al tema dell’immigrazione ed è, di conseguenza, figlia della seconda metà del Novecento (prima era confinata alle sole colonie o a gruppi sociali ben specifici e ristretti come gli zigani e gli ebrei della diaspora), negli Stati Uniti invece è una questione che è sempre stata strutturale e fondamento stesso del paese.
Il titolo di questo articolo è una citazione della rivista Race Traitor, rivista statunitense che, tra gli anni Novanta e Duemila, affrontò con cipiglio insieme militante e accademico la questione di razza negli USA. Come il collettivo editoriale di Race Traitor, siamo convint* che non basta dichiararsi antirazzist* e continuare, allo stesso tempo, ad assumere l’esistenza delle “razze” come un fatto “naturale” su cui si possa costruire una convivenza in luogo di una guerra come vorrebbero i suprematisti. Riteniamo, invece, necessario esplorare il concetto di “razza” come un fattore storico e sociale e quindi eliminabile. Abolire e disertare lo schieramento razziale in cui la classe dominante ci ha inserito nel corso dei secoli per dividere noi sfruttat* gli/le un* dagli/dalle altr*, è un atto di lealtà verso noi stess*.
lorcon
NOTE
[1] Utilizzo il plurale in quanto negli Stati Uniti le forze dell’ordine si articolano su diversi livelli, spesso autonomi tra di loro: polizie metropolitane/cittadine al comando del potere amministrativo locale; sceriffi a livello di contea e, generalmente, eletti direttamente; polizia statale sotto il controllo del singolo Stato dell’Unione; polizia federale.
[2] Luraghi, Raimondo Storia della guerra civile americana, Collana Biblioteca di cultura storica n.87, Torino, Einaudi, 1966 ed edizioni successive
[3] Ignataiev, Noel How the Irish Became White
[4] https://www.theguardian.com/world/2020/may/20/black-americans-death-rate-covid-19-coronavirus
[5] https://www.theguardian.com/us-news/2020/may/26/native-americans-coronavirus-impact
[6] Le dinamiche delle incarcerazioni di massa sono una parte fondamentale del sistema carcerario-industriale statunitense. Vedasi “Questione Carceraria e Lotta di Classe”, https://www.umanitanova.org/?p=7946 intervista all’Imprisoned Workers Organizing Committee
[7] https://photostream.noblogs.org/2013/10/geneaologia-della-violenza-poliziesca/ pubblicato anche su questo giornale nell’ottobre 2013
[8] https://libcom.org/history/negroes-guns-robert-f-williams
[9] https://www.nbcnews.com/news/nbcblk/age-trump-producing-more-black-gun-owners-n758211
[10]https://photostream.noblogs.org/2017/03/trump-rappresenta-il-fascismo-o-lidentita-bianca/